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mercoledì, Marzo 12, 2025

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Addio a Roy Ayers, pionere del Jazz-Funk e icona della Black music

In questo periodo si registrano i decessi di importanti musicisti afro-americani: da Quincy Jones a Angie Stone

Oggigiorno è sempre più difficile fermarsi a riflettere su tutte le persone che abbandonano per sempre questo mondo. Spesso però accade che, guardando un film in televisione oppure ascoltando una vecchia hit del passato, ci si domanda se gli attori presenti nella pellicola oppure l’interprete della canzone siano ancora tra noi, comuni esseri mortali.
Se parliamo di musica, e in particolare di musica afro-americana, nelle ultime settimane sono venuti a mancare una serie di esponenti di primo piano della Black music di fama internazionale.
Uno stillicidio, quello dei decessi di importanti musicisti afro-americani, che ha avuto inizio con la scomparsa del leggendario Quincy Jones lo scorso novembre, e che è continuato nel febbraio del 2025 con le morti delle cantanti Soul/R&B Gwen McCrae (sua la hit “Rockin’ Chair” del 1975), Roberta Flack (interprete della versione più celebre della splendida “Killing Me Softly with His Song”), mentre il mese di marzo è iniziato con la morte accidentale della cantante Angie Stone (il suo debutto alla fine degli anni 70 con il trio femminile hip-hop The Sequence, e poi rappresentante della florida scena Neo Soul/R&B di fine anni 90), fino a oggi (6 marzo per chi sta scrivendo), quando dai social è giunta la notizia del decesso, dopo una lunga malattia, del grande musicista, produttore e compositore Roy Ayers. Classe 1940, Roy Ayers nasce a Los Angeles e, grazie ai suoi genitori entrambi musicisti, si appassiona precocemente alla musica e in particolare ad uno strumento che lo accompagnerà per il resto della sua vita: il vibrafono. Inizia la sua carriera di musicista nei primi anni Sessanta, come jazzista della corrente hard-bop. Il suo debutto discografico è del 1963, con l’album West Coast Vibes, in cui il suono del suo vibrafono accompagna le melodie a metà strada tra be-bop e cool jazz.
Nella seconda metà degli anni Sessanta, il musicista losangelino inizia una collaborazione con il flautista Herbie Mann, incontro che si rivela determinante per la successiva svolta di Roy Ayers verso sonorità funky e soul. Ma è con l’arrivo degli anni Settanta e la costituzione della band Roy Ayers Ubiquity che il musicista compie il salto di qualità. In un momento storico in cui la maniera classica d’intendere la musica jazz appariva ormai superata, Roy Ayers contribuì al rinnovamento del linguaggio assieme a musicisti dal calibro di Miles Davis, Ornette Coleman, Wayne Shorter e Weather Report, Herbie Hancock attraverso la fusione di sonorità jazz, funk, soul, musica latina, l’uso sapiente delle voci e il suono inconfondibile del vibrafono. Da questa miscela fuoriesce il Jazz-funk, stile musicale che ha notevolmente influenzato sia la musica disco (come non citare la hit dance Don’t Stop the Feeling) che la musica house, oltre ad aver aperto la strada ad una serie di nuove intuizioni nel grande sottobosco della Black music, tra cui l’Acid-jazz (genere nato in Inghilterra tra la fine degli anni 80 e l’inizio degli anni 90), e il Neo-Soul (Ayers è anche definito il “padrino del Neo-soul”). Parallelamente, un cospiuo numero di rapper e produttori di musica hip-hop hanno fortemente attinto dal materiale di Roy Ayers, utilizzando i suoi brani come samples, tra cui Tupac, Dr. Dre, Guru, Common, Mos Def, Kanye West, Kendrick Lamar, Tyler the Creator. 
Tra gli album consigliati, è impossibile non raccomandare l’ascolto di Everybody Loves the Sunshine del 1976, in cui è contenuta l’omonima canzone, divenuta oggetto di campionamenti e riarrangiamenti da parte di numerosi musicisti. E poi ancora, Change Up the Groove del 1974; Mystic Voyage del 1975; Vibrations del 1976; Lifeline del 1977.
L’importanza di Roy Ayers nel panorama musicale internazionale è confermata proprio dai continui riferimenti alla sua musica da parte dei musicisti delle generazioni successive, e la sua impronta sul caleidoscopio della Black music continua ad essere più viva che mai.

Gabriele Boccia

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