Il cantautore, terzo classificato al Festival di Sanremo, ha raccontato la nostra terra con fierezza e talento
Dario Brunori, in arte Brunori Sas, ha conquistato il pubblico italiano con la sua partecipazione al 75º Festival di Sanremo, dove si è classificato terzo con il brano “L’albero delle noci”, vincendo anche il prestigioso Premio Bardotti per il miglior testo. Un riconoscimento che premia non solo il suo talento, ma anche la sua capacità di raccontare, con poesia e ironia, la vera essenza della Calabria.
Brunori Sas ci ha resi orgogliosi di essere calabresi, mostrando all’Italia un volto autentico della nostra terra, lontano dagli stereotipi e dai luoghi comuni. Il suo sorriso contagioso, la sua ironia raffinata e la sua narrazione intima hanno messo in luce una Calabria genuina e fiera delle proprie radici. Il cantautore ha saputo portare sul palco dell’Ariston non solo la sua musica, ma anche un racconto identitario che affonda le radici nella cultura popolare calabrese.
Nel testo della sua canzone troviamo un passaggio significativo: “Sono cresciuto in una terra crudele dove la neve si mescola al miele”. Un riferimento alla scirubetta, un dolce tradizionale calabrese preparato con neve e miele di fichi o mosto cotto, oppure con succhi di agrumi come mandarino, arancia o bergamotto. Questa antica preparazione, il cui nome proviene presumibilmente dall’arabo “sherbet”, che significa “bevanda fresca” e da cui hanno origine le parole italiane “sciroppo” e “sorbetto”, diventa nelle parole di Brunori un simbolo poetico della sua terra, un ponte tra passato e presente che racchiude la memoria storica e le tradizioni di un popolo. In Calabria, la neve veniva un tempo raccolta e conservata in speciali strutture chiamate nevai, o nivari nel dialetto locale. Queste costruzioni in pietra, isolate con paglia, assomigliavano a piccoli iglù e servivano a mantenere la neve intatta per diversi mesi, rendendola disponibile fino all’estate per essere consumata o venduta. A Cosenza, nel cuore del centro storico, esisteva una via storica dedicata a questa preziosa risorsa: l’attuale via Giuseppe Campagna, un tempo nota come “Ruga della Neve”. Qui si trovava il fulcro della distribuzione della neve, gestita da commercianti specializzati che ne garantivano la qualità e la purezza. La neve veniva venduta a peso, e spesso si verificavano controversie sulla sua autenticità e conservazione, segno di quanto fosse considerata un bene prezioso.
A gennaio dello scorso anno la scirubetta è comparsa in un video, poi diventato virale, di Reese Witherspoon, attrice statunitense e vincitrice di un Premio Oscar: il “Snow salt chococinnos”, come lo ha ribattezzato su TikTok. Si tratta di un dessert realizzato con neve fresca, raccolta direttamente dal cofano della sua auto e arricchita con salsa al caramello salato, cioccolato fuso e caffè cold brew. «È delizioso!», esclama l’attrice, che ha anche una stella sulla Walk of Fame dell’Hollywood Boulevard, nel video, soddisfatta della sua trovata per rendere più piacevole una fredda giornata invernale. In Calabria lo si sapeva già da tempo.
Ma Brunori non si limita a evocare la bellezza delle tradizioni gastronomiche del nostro territorio. Attraverso la sua musica e la sua narrazione, restituisce l’anima della Calabria in tutte le sue sfaccettature, sia luminose che oscure, con un tocco leggero e privo di retorica. Il suo stile mescola sapientemente l’elemento autobiografico con quello culturale, creando un racconto universale capace di toccare il cuore di tutti.
A Sanremo, oltre alla scirubetta, il cantautore ha riportato alla ribalta un altro elemento simbolico della tradizione calabrese: il rito dell’affascino. Una pratica popolare legata alla superstizione e al malocchio, che si tramanda di generazione in generazione. Dice Brunori in un’intervista: “Da noi c’è una forma di malocchio particolare che si chiama affascino. Non solo da noi, ma diciamo che c’è questa convinzione che esista un malocchio involontario. Anche se in realtà non vuoi male alla persona, facendole un complimento puoi portarle un malessere, che di solito si traduce in un grande mal di testa. Questo si chiama affascino”. E allora per sciogliere il malocchio bisogna rivolgersi una figura esperta, come una nonna o una comare del paese, che con preghiere sussurrate e gesti rituali provvede a risolvere tutto. Il rito dell’affascino si può eseguire ovunque, sia in casa che all’aperto, purché avvenga in un’atmosfera di assoluta calma e raccoglimento. Chi lo pratica si pone di fronte alla persona colpita, si segna con il segno della croce e, con il pollice della mano destra, traccia tre croci sulla fronte del malcapitato. A quel punto inizia a mormorare una serie di preghiere e formule segrete, tramandate di generazione in generazione. Un aspetto fondamentale del rituale è l’interpretazione degli sbadigli della guaritrice: se il primo avviene durante l’Ave Maria, si ritiene che il malocchio provenga da una donna; se invece accade mentre recita il Padre Nostro, il responsabile è un uomo. Il procedimento resta avvolto nel mistero, poiché chi lo conosce non ne svela mai i dettagli. Ogni praticante custodisce il proprio metodo e lo trasmette solo oralmente, scegliendo con cura tre persone nell’arco della vita e rispettando la tradizione che impone di farlo esclusivamente a mezzanotte nella notte di Natale.
“Le Magare di San Fili mi hanno preparato questa vurzetta che in qualche modo mi proteggerà me la sono portata, poi ho anche le pietre di sale. Siamo scaramantici, ma abbiamo anche i nostri amuleti mettiamola così”, così ha confessato il cantante. San Fili, borgo medievale in cui risiede Brunori, è conosciuto come il “Paese delle Magare”, donne che un tempo erano considerate streghe, ma che in realtà erano antiche guaritrici esperte di erbe e rimedi naturali. Le leggende di San Fili si intrecciano profondamente con la storia e la cultura popolare del borgo, dando vita a figure misteriose e affascinanti, tra cui spicca la Fantastica. Questa enigmatica presenza femminile è avvolta da un’aura di superstizione e timore, tramandata di generazione in generazione. Secondo la tradizione, la Fantastica si manifesterebbe agli incroci delle strade che conducono fuori dal paese, assumendo un aspetto sempre più spettrale man mano che ci si avvicina. Vestita con un abito nuziale, si dice che il suo volto si trasformi progressivamente in una maschera inquietante, con l’intento di mettere in guardia i viandanti o, secondo alcune versioni, di spaventarli per impedirgli di allontanarsi troppo. La leggenda narra che fosse una donna disperata alla ricerca del figlio perduto, il cui dolore l’avrebbe trasformata in un’apparizione inquietante, destinata a vagare senza pace nelle notti solitarie di San Fili.
Attraverso questi racconti e simboli, Brunori Sas ha fatto di Sanremo non solo un palcoscenico musicale, ma anche un’occasione per riscoprire e valorizzare le radici culturali del Sud Italia. Ha portato la Calabria sul palco con orgoglio, senza vittimismi, ma con la consapevolezza di chi conosce e ama profondamente la propria terra. Il suo Sanremo è stato un viaggio nelle tradizioni, nella memoria collettiva e nell’identità calabrese, raccontato con quella dolcezza e ironia che da sempre lo contraddistinguono.
Dario Brunori non ha solo incantato con la sua musica, ma ha anche ricordato a tutti che la Calabria è molto più di un luogo: è un sentimento, un’identità, una cultura ricca e complessa. E grazie a lui, milioni di italiani hanno visto una Calabria che sorride, che racconta la sua storia con fierezza e talento. La Calabria migliore, quella che merita di essere conosciuta e celebrata.
Fabio Gambino